martedì 8 maggio 2018

Un piccolo estratto da 'Le fate del Malabar'



La barca rollava dolcemente sulle onde nervose ma non impossibili: il pescatore era esperto e sapeva quali direzioni e correnti seguire per giungere verso le reti calate quel mattino, lei sapeva, di buon’ora. Non era una zona molto pescosa, ma le correnti dolci e fredde del fiume richiamavano gamberetti che a loro volta attraevano sgombri, cefali, sardine di grossa taglia e piccoli pesci-spada. A volte, avvicinandosi alle barche rientrate al molo, curiosava il pescato e non di rado vedeva piccoli squali martello, mahi-mahi, tonnetti e barracuda, tutte specie ittiche adatte ai curry e agli speziati masala delle cuoche, generose nell’arricchire i sughi dei curry con peperoncino, curcuma, zenzero e altri spezie.


Ognuna di esse aveva la sua ricetta, sebbene il sapore, alla fine, fosse comune: piccante e liquido, adatto per inzuppare il chapati e il riso.
Salutò con la mano il pescatore non molto distante, non ricambiata perché l’uomo era troppo concentrato sulla navigazione e il controllo della barchetta: esperto, ma mai distratto, sapeva che alcuni scogli affioravano durante le maree basse, ora nascosti sotto il pelo dell’acqua. Se avesse perso la concentrazione della corrente avrebbe causato un danno alla sua barca, anche l’affondamento se l’impatto si fosse rivelato violento, per quello rimaneva con lo sguardo concentrato sul pelo dell’acqua sino al momento in cui sarebbe giunto alle boe della rete.
Così fu: il pescatore raggiunse il suo tramaglio, non troppo lungo, e iniziò a issarlo a bordo.
Aamira capiva la fatica: l’uomo non era più giovane e il sole cocente, per quanto sempre più basso sulla linea dell’orizzonte,  ne aumentava il carico di lavoro. Iniziò a scorgere i primi pesci incastrati nelle maglie: la taglia non era grossa, probabilmente sgombri, cefali o similari, così fu per parecchio tempo sin quando vide la fatica aumentare nel tentativo di issare una grossa preda.
Non la scorse subito, ma dopo qualche minuto si accorse che era una tartaruga marina impigliata con la testa e un paio di zampe, le anteriori, incauta nel nuotare sottocosta, forse alla ricerca di prede facili, fuggendo alla mareggiata della notte prima, o solamente alla ricerca di una spiaggia protetta ove deporre le sue uova. Il litorale, verso nord, si prestava alla deposizione, spiagge deserte e indisturbate alle quali avvicinarsi di notte per nascondere sotto la candida sabbia la generazione futura, mete millenarie di animali primordiali e abitudinari.
Aamira provò a gridare di liberarla e il pescatore, come se l’avesse sentita, delicatamente posò la tartaruga sul pelo dell’acqua; il riverbero del sole non concedeva alla ragazzina di vedere i particolari ma le parve che la sagoma circolare del carapace nuotò qualche metro in superficie prima di inabissarsi di nuovo libera.
L’uomo fu premiato con la cattura finale di un grosso barramundi, raro a quelle latitudini ma intensamente allevato negli ultimi anni, ragion per cui parecchi esemplari riuscivano a fuggire dai recinti nel mare, o nei vasconi degli allevamenti, riproducendosi in libertà.

Le piaceva il barramundi: sapeva delle origini australiane del pesce e le capitò più volte di assaggiarne le gustose carni quando la madre riusciva a spuntare buoni prezzi dai rivenditori, pesce non comune, come altre specie d’altronde, ma in incremento.

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